Andiamo alla scoperta di questa montagna ricca di fascino, storia e significati che entusiasmerà ad ogni passo.
Difficoltà: escursionistico (E). Qualche tratto per escursionisti esperti (EE) all’accesso della Val d’Arcia e in discesa dalla forcella di Val d’Arcia verso il rifugio Venezia.
Dislivello: 800 m in salita e in discesa.
Tempi: 2.30 h fino alla forcella Val d’Arcia; 1.30 ora la discesa al rifugio Venezia. Rientro alla partenza: 2.00 ore. Totale 6.00 ore.
Partenza e arrivo: Passo Staulanza m 1760, raggiungibile in auto da Longarone salendo la Val di Zoldo.
Dal Passo Staulanza, si seguono le indicazioni per forcella Val d’Arcia seguendo un sentiero in comune con quello per il rifugio Città di Fiume. Dopo un breve tratto nel bosco, ad un bivio, si segue ora il segnavia 480 diretto a forcella Val d’Arcia. Si esce dal bosco e si passa alla base della parete nord-occidentale del Pelmetto.
Lingue di ghiaccio e di pietre (stop 1)
Si cammina quindi sulle abbondanti ghiaie che scendono dalle pareti. Molto bella è la veduta sulla sottostante Val Fiorentina, con il paese di Selva di Cadore e il gruppo del Sella sullo sfondo. E prima dell’uomo? C’era un potente ghiacciaio con una lingua che scorreva dal Pelmo coprendo parte della valle! Lo vediamo dal profilo ad “U” della valle che ha un fondo piatto e pareti scoscese. Ma ora c’è un’altra lingua, grigia e pietrosa che scende a valle! Si tratta della colata detritica (o debris flow) del monte Pelmo, una frana di detriti lunga circa 1,5 km che dalla base delle pareti, raggiunge la sottostante strada. Il 14 settembre 1994 l’ultimo fenomeno violento che sbarrò la strada e spostò così tanto materiale (200.000 mc), da far emergere l’antico ghiacciaio nella parte soprastante del ghiaione, che tutti avevano dimenticato! Meglio non trovarsi da queste parti con un forte temporale, perché la frana è innescata dall’acqua che inzuppando la ghiaia, la fa muovere verso valle. La forza è tale da raggiungere velocità fino a 30 km all’ora ed è in grado di trascinare grandi massi! Oltre a questa, ne possiamo vedere anche altre, che hanno una forma digitata verso valle, come delle mani che si protendono verso valle.



La roccia modella il paesaggio (stop 2)
Salendo verso l’imbocco della Val d’Arcia, il sentiero diventa sempre più ripido! Bisogna vincere la fortezza che il Pelmo ha eretto attorno a sé! Ogni tanto, meglio guardarsi attorno, volgere lo sguardo verso nord, verso il rifugio Città di Fiume. Vicino a noi, le chiari rocce delle Crepes dei Beche contrastano con quelle scure del Colle della Puina. Sono due tipi di rocce diverse, le prime sono calcari arenitici depositatisi in ambiente marino, le successive sono invece delle rocce derivate dalla disgregazione di basalti e quindi più tenere. Nella storia geologica delle Dolomiti, un evento vulcanico (230 milioni di anni fa) arrestò la crescita degli atolli, coprì parte del mare segnando una nuova fase per gli atolli che sarebbero sorti successivamente. Queste nuove barriere coralline sono quelle che ammiriamo osservando le le chiare rocce dolomitiche dei piatti Lastoni de Formin, della Croda da Lago e del Becco di Mezzodì sullo sfondo. Ma anche il monte Pelmo fa parte della lista!
Ammirando il panorama verso il rifugio Città di Fiume, i vari monti sono composti da rocce diverse che condizionano le forme.
Il ghiacciaio nascosto e le sorgenti carsiche (stop 3)
Eccoci arrivati alla porta d’ingresso del monte Pelmo, all’imbocco della Val d’Arcia! Siamo a circa 2250 metri e ci troviamo di fronte un vero e proprio muro di ghiaie e massi alto circa 25 metri. Si tratta del glacionevato di Val d’Arcia, ultima testimonianza del ghiacciaio del monte Pelmo! Ad ulteriore conferma, la presenza di una morena, cioè un muro di massi lasciato dall’ultima avanzata del ghiacciaio, avvenuta 150 anni fa, nel 1850. Ma dov’è il ghiaccio? si trova al di sotto del detrito, a 3 metri dalla superficie. Protegge il ghiaccio che ormai senza movimento verso valle, si scioglie lentamente dando origine ad una superficie ondulata. Questo stadio è tra quelli terminali di un ghiacciaio, quando non avendo più la forza di portare a valle i detriti che cadono su di esso, lo ricoprono gradualmente. E’ qui ben visibile gli effetti dell’evoluzione del clima sulle montagna e anche sulla disponibilità d’acqua che avremo in futuro: senza le riserve rappresentate dai ghiacciai, la disponibilità d’acqua sarà maggiormente legata alla ricarica delle falde ad opera delle piogge e allo scioglimento della neve.
Sul monte Pelmo, l’acqua sgorga non solo dalla fusione di neve e ghiaccio, infatti ci troviamo al cospetto di un massiccio carsico: l’acqua ha dissolto parte del calcare creando una serie di cunicoli nei quali scorre. Una volta che ha percorso questo reticolo interno, esce tramite delle sorgenti: sono i buchi che si osservano sulle pareti, in particolare quelle di Cime di Val d’Arcia e Cima Forada a sinistra del sentiero. Il toponimo la dice lunga!


Il sentiero principale n. 480 mantenendo la sinistra, sale la rocciosa Val d’Arcia passando alla base delle Cime di Val d’Arcia. C’è un’altra traccia presente sul versante delle Crode di Forca Rossa (lato destro) che però è su un versante più ripido, spesso all’ombra e perciò con possibile presenza di neve. In un ambiente maestoso, si sale con le Crode di Forca Rossa di fronte, ormai in vista della Forcella Val d’Arcia che si raggiunge salendo un ultimo ripido tratto ghiaioso. Il panorama è davvero sensazionale! Ad ovest spicca l’inconfondibile sagoma della Marmolada, mentre ad est ci si affaccia sulla Valle del Boite abbracciando, in un sol colpo, Antelao e Spalti di Toro.




Un vero è proprio tuffo è quello che si fa ora! Si scende velocemente su fini ghiaie buttandosi a capofitto verso valle, sui sottostati boschi color smeraldo. Raggiunta quindi la base della parete orientale delle Crode di Forca Rossa, le si contorna verso destra dove si va ad intercettare una cengia rocciosa. Ci si trova ora in ambiente solitario, sospeso tra crode e valle: la vista spazia sul versante opposto della Valle del Boite su Croda Marcora, Cima Bel Prà e il possente Antelao. La cengia conduce ad una selletta dalla quale lo stretto sentiero scende ancora contornando la parete fino ad una seconda sella dominata da un torrione roccioso dal quale ci si affaccia al rifugio Venezia (quota 2250 m). Si abbandona l’ambiente impervio di rocce e ghiaie confortati dalla veduta del sottostante rifugio e dei pascoli quasi a portata di mano.
Prima di arrivare al rifugio si incontra il bivio per la cima del Pelmo, per cui vale la pena gettare uno sguardo per individuare l’inizio dell’orizzontale cengia di Ball.
Siamo quindi all’accogliente rifugio Venezia, punto di appoggio principale per la salita al monte Pelmo.


Il Caregon del Padreterno e la Dambra (Stop 4)
Eccoci all’ultima parte del percorso, ormai di ritorno a Forcella Staulanza. Dopo poche centinaia di metri dal rifugio, eccoci al Passo di Rutorto. Ci troviamo tra monte Pelmo e Monte Penna, un modesto rilievo alto 2200 m con un verdeggiante versante che degrada regolare verso nord.
Guardiamo quindi il monte Pelmo ed ecco la struttura a forma di sedia che gli ha attribuito l’appellativo di “Caregon del Padreterno”. La conca sospesa di detriti chiamata Vant si trova chiusa da due creste rocciose chiamate Spalla Est e Spalla Ovest. Anticamente nel Vant giaceva un ghiacciaio che ha scavato questo catino.
Affascinati da queste forme della natura, si prosegue sotto la parete meridionale del Pelmo quando lo sguardo è attirato da una caratteristica sporgenza della parete chiamata “la Dambra” che ricorda i mascheroni che emergono a volte dalle facciate dei palazzi, spesso sopra ai portoni. Ad averla scolpita, sono stati gli agenti atmosferici, in particolare l’acqua: dapprima s’infiltra nelle fessure, poi ghiaccia allargando la frattura e si scioglie nuovamente. Questo ciclo, ripetendosi più volte, è in grado di staccare porzioni della parete tramite la caduta di blocchi.


Prima degli uomini.. I dinosauri! – Stop 5
Il sentiero attraversa mughete e radi boschi, conducendo, in breve salita, alla sella in località “I Lach”. Il nome del luogo viene fatto risalire ad una piana palustre anticamente popolata. A sostegno di ciò sono stati rinvenuti frammenti di punte di selce, utilizzate da cacciatori. Il segnavia 472 conce verso una bella zona utilizzata a pascolo chiamata “Le Mandre So Pelf”, i cui verdi pascoli hanno svolto un ruolo molto importante nelle attività delle popolazioni della Val di Zoldo. Guardando il monte Pelmo, è evidente lo stretto passaggio chiamato “La Fessura” che divide il monte Pelmetto a sinistra dal monte Pelmo a destra. L’origine di questo stretto intaglio, è dovuta ad una faglia, una grande frattura geologica la cui azione ha frammentato la roccia. Il 6 settembre 1863, Paul Grohmann s’insenuò in quel pertugio, e da lì, salì alla vetta, individuando una cengia che dalla Fessura, lo ha condotto nel catino meridionale “Vant” e alla cima. Il sentiero torna ad addentrarsi tra mughi e boschi e oltrepassato il bivio per Palafavera che si ignora, si incontra l’ingresso per “Giurassic Park”!
Quanti misteri nasconde il monte Pelmo! Tra le rocce erano custodite anche delle impronte di dinosauri! Una frana alla base della parete, ha fatto rotolare dei massi sui quali sono state individuate tre tracce: due di erbivori, ed una riferita ad un carnivoro. 220 milioni di anni fa, qui non c’era la lussureggiante vegetazione del film Giurassic Park ma una piana di marea tropicale, dove i dinosauri si spostavano tra mare e terra emersa. Rispetto ai grandi dinosauri del Giurassico, questi erano più piccoli, raggiungendo al massimo 4 metri, antenati di ceratosauri e brontosauri. Per vederle di persona sono necessari altri 20 minuti di salita e 10 di discesa, altrimenti il calco e ulteriori spiegazioni, si possono trovare al museo Vittorino Cazzetta di Selva di Cadore.



Affascinati dalla varietà di ambienti, forme geologiche e storia ma anche un po’ stanchi, si fa ritorno con una nuova bella giornata da raccontare. Per tornare a Passo Staulanza manca solo un ultimo tratto (mezz’ora-40 minuti di cammino) con sali-scendi in un bosco con alcuni tratti umidi dovuti alla presenza di sorgenti.
